A proposito di Merito

“Io non riesco a vedere come un individuo possa rimediare al fatto di non aver frequentato al momento giusto una buona scuola. Costui non conosce se stesso; cammina sul sentiero della vita senza aver imparato a camminare; a ogni passo che fa si rivela la sua floscia muscolatura……La cosa più auspicabile è in tutti i casi una disciplina rigorosa e dura al momento giusto, cioè in quell’età in cui riempie di orgoglio vedere che si pretende molto da noi. Giacchè questo distingue la scuola dura, in quanto buona scuola, da ogni altra: che si pretende molto e lo si pretende inflessibilmente; che le cose buone, anzi perfino quelle eccellenti, vengono pretese come normali; che la lode è rara; l’indulgenza assente; che il biasimo si fa sentire con asprezza e obiettività senza riguardo per il talento e la provenienza sociale”.

F. Nietzsche, Sull’avvenire delle nostre scuole. 1888.

Un caro amico, Antonio de Falco, che qui ringrazio, mi ha citato questo passo qualche giorno fa e ascoltando le parole di Nietzsche ho pensato che andrebbero affisse ai muri di Scuole ed Uffici Pubblici insieme al Crocefisso, alla foto del Presidente della Repubblica e/o del Papa. Aggiungerei sedi dei Partiti e Movimenti più o meno organizzati, ma il sogno sarebbe che per un giorno diventassero la home page di Google, Instagram, Facebook e dei principali social network. Ma solo in Italia.

Perché solo in Italia? Perché il nostro Paese ha investito nel 2019 il 3,5% del proprio PIL per l’istruzione (incluso quella universitaria), trentesimo posto tra i Paesi OCSE, meno della Slovacchia e un po’ più della Lituania.  (DATI OCSE 2019).

Siamo al penultimo posto in Europa per numero di Laureati, peggio di noi solo la Romania. Solo il 26,2% della popolazione italiana tra i 30 e 34 anni è laureata; per fare una comparazione con i nostri soliti amici europei: nel Regno Unito il 48,2%, in Francia il 43,6%, in Spagna il 40,1%, in Germania il 33,2%.

Investiamo sempre meno e sempre peggio nella Scuola e nel Merito, nel formare le nuove generazioni, l’Italia di domani, scivolando sempre di più nell’area del sottosviluppo. 

Perché la parola Merito venga riabilitata, la si possa di nuovo usare pubblicamente senza per questo essere tacciati di snobismo, elitarismo, autoritarismo, disprezzo per la democrazia e per le masse. “….se lo è meritato….”: ho ascoltato qualche volta pronunciare questa mezza frase a bassa voce, con il timore di essere denunciati…

Il Merito, la ragione più semplice, più ovvia di un percorso scolastico, di una carriera, di uno status economico di successo. L’aver talento, essersi impegnati, aver fatto sacrifici. Esserselo meritato. Dirlo ad alta voce senza vergogna: me lo sono meritato. Invece il crescente livore che serpeggia tra noi italiani indirizza verso altre spiegazioni, molto meno nobili, qualsiasi successo che non sia più che certificato, magari dai social: è figlio di…., ha evaso le tasse, ha avuto fortuna (il più benevolo). Nei Paesi di matrice Protestante il successo, il censo, sono considerati segno della grazia di Dio, perché dalla ricchezza si creano imprese, posti lavoro, bene comune. Da noi una persona di successo si invidia, o lo si maledice in quanto evasore fiscale, quasi mai è un modello da eguagliare o magari superare, se non nello stile di vita e nei consumi. Mai si pensa che magari possa esserselo meritato. Ad eccezione di rappers, influencers ed affini, per i quali scattano meccanismi emotivi diversi.

Tutto comincia dalla Formazione, dalla Scuola. Solo con una Scuola basata sul Merito possiamo sperare di avere una Societa’ migliore. Le Camorre e le Mafie si battono con le Scuole nei territori nei quali lo Stato non è mai entrato. Lo hanno capito Stati come India e Sud Africa.

Senza Merito si sfilaccia la coesione sociale, tutti sospettano di tutti, tutti pensano di poter fare qualsiasi mestiere e di pontificare su ciò che non conoscono, che non hanno studiato o approfondito. Senza Merito si confonde il diritto di esprimere un’opinione con il diritto di dire scemenze e di imporle sui social, senza mai entrare nel merito delle cose.

Senza Merito il rispetto per i Maestri, gli insegnanti, le figure guida della formazione di ognuno è una parola vuota.

Anziché alzare l’asticella del Merito, investire nella qualificazione dei docenti e focalizzarci sulle priorità della conoscenza soprattutto nelle aree tecnologiche, abbiamo preferito, a partire dalla riforma Berlinguer, prima chiudere un occhio poi tutti e due sul Merito Scolastico.

Il titolo di studio è diventato un diritto a prescindere, in nome del quale è diventato normale dare del tu agli insegnanti di ogni ordine e grado, minacciarli, in alcuni casi anche fisicamente, se il pargolo prende un brutto voto, soprattutto in alcune aree del Paese; li si costringe a ricorrere alle cure di un Ospedale, ammesso che ancora non siano stati incendiati come va molto di moda nelle ultime settimane.

Come da buona tradizione abbiamo velocemente importato dall’estero il peggio in nome di una presunta modernizzazione: penso ai test, per esempio. Magari con correttori automatici al computer. Come quiz televisivi. Il mestiere di allevare una generazione, educarla alla vita dandole strumenti per pensare con la propria testa, capendo la storia, i talenti e le inclinazioni di ciascun alunno (la forza della scuola italiana fino agli anni 90), si è perso tra la mortificazione dei docenti, la ritirata dello Stato e vacui slogan (più inglese-più informatica-a cosa serve il liceo classico). 

Si sono creati paradossi inestricabili: non si capisce, almeno io non ho capito e ho più volte chiesto spiegazioni agli addetti ai lavori senza avere risposte, che senso abbia fare un eccellente percorso alle scuole medie superiori, diplomarsi con ottimi voti e poi essere costretti a fare test per accedere all’Università. Delle due l’una: o il voto del Diploma e dell’intero percorso delle Superiori è carta straccia oppure tutti coloro che si sono diplomati si sono ubriacati prima di andare a fare il test di ammissione all’Università. Prendiamo il caso eclatante di Medicina: nei prossimi 5/10 anni i medici della generazione Baby Boomers andranno in pensione: la maggioranza. I laureati dei prossimi anni non sono sufficienti a sostituirli, e spesso emigrano per stipendi e posti migliori.  Chi curerà una popolazione che invecchia progressivamente? Non si sa. Si può obiettare che togliendo i test vi sarebbero troppi iscritti ai primi 2 anni che poi abbandonano successivamente, quindi ci vogliono troppe aule, troppi corsi e troppi professori per studenti che poi abbandonano. Forse. Ma se anche fosse, ed è tutto da dimostrare, sarebbe giunto il momento di far risalire gli investimenti in aule e professori almeno alla media europea.  Chi ha figli che hanno fatto test di ingresso a Medicina capisce di cosa sto parlando. Non è chiaro quale sia il legame tra un futuro buon medico e le risposte esatte ai quei test. E soprattutto: se hai avuto ottimi voti a scuola fino ad allora e il test non lo passi che cosa se ne deve dedurre? Molti si scoraggiano, molti tentano Veterinaria con la speranza di riprovare il test l’anno dopo, altri emigrano subito. Ma chi lo ha detto che esiste una correlazione tra il superamento di quei test e il diventare un buon medico?

Se proprio vogliamo sbarrare le porte all’ingresso delle Università non ha più senso valutare voti e percorso della scuola media superiore piuttosto che qualche ora di quiz?

Sento spesso porre questa domanda tra i ragazzi: che senso ha puntare ad una media alta al Liceo se poi tutto si azzera nell’ammissione all’Università?

Ha senso aver fatto credere a questi ragazzi di avere il diritto di avere un diploma abbassando merito e selezione per poi incanalarli come buoi al macello verso le porte socchiuse dei test? O forse non abbiamo semplicemente spostato in avanti il momento della verità? Oltre la scuola dell’obbligo non è un diritto di tutti arrivare al diploma e alla Laurea, ma di coloro che se lo meritano.

Qualcuno obietterà, e gli altri? La scuola ha anche il compito di orientare i talenti di ciascuno, e spesso questi talenti si applicano a mestieri diversi dall’ avvocato e dal medico: l’artigianato o la meccanica di precisione, per citarne due: categorie che in Italia stanno sparendo per mancanza di nuove leve. Va cambiata la narrativa per la quale un figlio ingegnere o avvocato va esibito e uno idraulico o operaio specializzato in macchine a controllo numerico vada nascosto come una vergogna o un fallimento (e, diciamoci la verità, un idraulico oggi rischia di guadagnare di gran lunga di più di un avvocato). Va cambiata nel tornare ad investire nelle scuole medie superiori “tecniche”, nel facilitare, come avviene in qualche sporadico caso, lo scambio tra queste scuole e il mondo del lavoro.

 Viene da sorridere rileggendo Nietzsche : portare  tutti al diploma o alla laurea trasformando la buona scuola, addirittura eccellente, anche dura, in un parcheggio nel quale i talenti si perdono nei bassifondi di una cattiva scuola, con aule spesso fatiscenti, un corpo insegnante mortificato da continui cambiamenti di regole e pressioni, anche fisiche, da parte di genitori che confondono diritti con doveri. I risultati, che sono sotto gli occhi di tutti parlano con cifre implacabili, da terzo mondo.

E qui si apre un altro paradosso: la “proletarizzazione” del titolo di studio, con il diritto al suo ottenimento ad ogni costo ed a prescindere, ha finito per abbassare la qualità dell’offerta scolastica pubblica  danneggiando proprio quei figli delle classi medie e povere che dovrebbero reclamarne l’eccellenza: i ricchi,  coloro che se lo possono permettere, da tempo mandano i propri figli in Scuole ed Università private, magari all’estero, per ottenere un’istruzione di prim’ordine. Proprio coloro che volevano la “scuola per tutti” (presto tradotto in titolo di studio per tutti) ha finito per abbassare la qualità della formazione per coloro che non si possono permettere una costosa istruzione privata, penalizzandoli fortemente in termini di opportunità: anche qui i dati sono impietosi: da anni il cosiddetto “ascensore sociale” è fermo, e tende pericolosamente verso il basso. Cosa vuol dire? Che dal dopoguerra, fino ad una decina di anni fa, era normale che le generazioni successive avessero titoli e redditi superiori a quelli dei propri padri. Oggi, se va bene, le eguagliano: in altre parole oggi è estremamente più raro che il figlio di un operaio si laurei ad acceda a salari più alti.

Per aver bandito la parola Merito stiamo affidando il nostro destino e quello dei nostri figli a gente che spesso non ha la benchè minima idea di ciò che è chiamato ad amministrare, decidere, in nome dell’uno che vale uno. Questa non è democrazia, è incoscienza sociale, che presto o tardi ci presenterà un salatissimo conto.

In nome della cosiddetta “uguaglianza” si sta insinuando la pericolosa credenza che uno vale sempre uno, e che tutti possano fare tutto a prescindere dal merito, dal curriculum, dal percorso formativo completato.  Che uno che non ha mai lavorato in vita sua possa fare il Ministro del lavoro, o magari, senza sapere l’inglese, il Ministro degli Esteri. Che una Ministra dell’istruzione non abbia una Laurea. Vuoi fare il Ministro? Il Deputato, il rappresentante del Popolo? Frequenta qualcosa di simile all’ENA francese, diplomati, dimostraci che sai di cosa stiamo parlando, fai parlare i tuoi Meriti, perché non bastano 100 preferenze su una piattaforma. Un Ministro della Salute che non ha mai visto funzionare un Ospedale, uno delle Infrastrutture che non ha la minima idea di come funzionino appalti, concessioni, progetti, come è stato scelto? E perché? Per non fare torto a nessuno potrei fare un lungo elenco, ma penso che il concetto sia chiaro. 

.Come se ne esce? Riabilitando il Merito. Riportando il Merito nella Scuola Pubblica, difendendolo. Investendo almeno quanto fa la media dei primi 7 Paesi industrializzati. Fissando priorità e obiettivi per i prossimi 5 anni. Selezionando, formando e difendendo la classe degli insegnanti, pagandoli dignitosamente: hanno il gravoso compito di formare persone possibilmente migliori di quelle che siamo oggi.

Giuseppe Tammaro